Andrea G. Pinketts
Ci sono modi, modalità, a volte opzioni, in altri casi addirittura direttive che vengono dal basso anziché dall’altissimo per raccontare l’universo. Michelangelo Buonarroti è l’uomo universale per eccellenza e per definizione. Il vecchio Mike è, dal quid all’eternità, l’incarnazione dell’artista rinascimentale che padroneggia ogni divenire del proprio sapere, intuire, cercare, quasi per necessità biologica e anche qualche volta squisitamente alimentare, per sé e per gli altri.
In via Michelangelo Buonarroti al civico 38, una targa ricorda che lì Maria Callas ha abitato e cantato mentre era sotto la doccia. Lì ha sede la Sergio Bonelli editore, culla della letteratura disegnata tra il ruvido pragmatismo di Tex Willer e tutti gli incubi di Dylan Dog. Canto, colt all’Opera immaginario che si concretizza nel segno. C’è poco da sindacare. Michelangelo Buonarroti è l’uomo universale. Non ha avuto il piacere di conoscermi, peccato per tutti e due.
Michelangelo Junior è “uomo universalmente particolare”. Ho l’onore di essere suo amico. Nel corso del tempo è riuscito ad imporre con determinata, provocatoria, aggressiva testimonianza di un gentile “stato di grazia” il proprio fondamentale contributo all’arte concettuale con la benedizione pagana di un altro Buonarroti (che per un errore anagrafico è noto al mondo come Achille Bonito Oliva!).
Michelangelo Junior oltre a creare e a crearsi è stato in grado persino di cancellarsi in una epocale mostra del 1997. Il segno e il disegno si sono smaterializzati per diventare “non corpi” senza bisogni corporali. La “merda d’artista” era già un ricordo presente ma lontano.
Michelangelo Jr non si chiama Buonarroti, di cognome fa Gandini come suo padre Innocente (giuro è il nome di battesimo) fino a prova contraria, e come sua madre Milly, regina di una democrazia culturale contro ogni logica di mercato. Michelangelo è il Junior di loro due più che di Buonarroti. Performer, artista di strada impervia e contemporaneamente di autostrada assolata di cui ci fa sentire il profumo del cemento (armato o disarmato, come gira a lui). E’ un
Papa (Miche L’Angelo Secondo) e un papà dei suoi figli e delle sue opere.
“Rebus In Fabula” lo dimostra. Le sedie vuote da Ioneschiano teatro dell’assurdo applicato, in realtà sono occupate dai fantasmi di una depressione superata grazie al gesto. Separazioni e lutto diventano rinascita in una casetta in Canadà che celebra i ruderi di un Colosseo dell’abbandono. L’ossessiva presenza di labbra pittate, sono rosse bocche di fuoco. E un albero di Natale può concedersi di essere adornato con sensualità in ritardo, in arrivo o addirittura più veloci di ogni tabella di marcia. L’urlo delle sedie sbilenche è vulcanico quanto “eddu ed io”, un io e lui moraviano ribaltato.
Michelangelo Jr ci mostra e dimostra quanto sia possibile saltare sulle ciminiere. In fondo è un fluxus psichedelico e romantico che in questa apoteosi di pittura “scarsa e ignorante” (parole sue, giuro) grazie a penna, matita, acrilici, smalti e pastelli, possiamo tutti trasferirci in via Buonarroti. Tutti noi che lo amiamo e lo abbiamo capito.
Mi viene in mente una canzone di Mellow Modo che secondo il mio immodesto parere sintetizza ogni vera opera d’artista. Pensate alla polvere di stelle perduta della cancellazione del lievito.
“Mi trascino nella polvere
e guardatemi mentre mi rialzo
limpido come un’alba”.
Comments